LA MIA SICILIA
Amata e incompresa
eterna come una madre
Il mare la circonda
Il mare è sempre uguale
in ogni suo aspetto da secoli
non gli importa nulla
degli uomini se piangono
se ridono , se soffrono , se amano
La sua stessa esistenza
muta ogni ora e in ogni stagione
Oggi è liscio come l’olio
solo brevi onde accarezzano la riva
Sulla riva oggi
ci sono quieti colombi
impegnati a camminare lievi
a becchettare non so che cosa
mentre un saggio gabbiano li osserva
Perché ? li controlla?
invidioso intende scacciarli ?
Il chiarore del mattino
l’ho visto alzarsi centinaia di volte
sempre diverso , disteso e luminoso
La mia Sicilia terra adorata e odiata
Oggi mentre cammino lungo il mare
mi sconcertano odori nauseabondi
di pesce squamato e vecchio
di spazzatura sparsa un po’ ovunque
impediscono il profumo dei fiori
( le belle di notte, i gelsomini,le foglie di zagara)
e offendono il mare
il capo di Sant’Alessio, le case lontane
della Calabria vicina
le barche si dondolano lente
la strada è assistita da auto in sosta
da auto che sfrecciano incaute
E la terra brulica rivelando gli odori malsani
tra il profumo dei gelsomini e delle belle di notte
tra il vociare degli uomini che dicono al mondo
quello che soffrono, quello che vogliono.
Oh adorata Sicilia mia
sei stupefacente, sregolata
sincera, vittima e vittoriosa
Un tutto che si è ammassato
lungo i secoli con rare bellezze
con pensieri elevati
con pensieri cupi
con lavori penosi
Io sono greca
Io sono romana
ed ancora araba
normanna francese e spagnola
Io sono ricca e povera
vincente e perdente
Io sono la Sicilia
ridente e forte
generosa e vigliacca
fantasiosa e poetica
Io sono la terra – la mia-
più bella e più brutta del mondo.
LA RACCOLTA DEL GRANO (ad Aranciara e Casalvecchio,terre dei miei avi )
Nella terra degli avi,sull’aia,piatto di fuoco che lambisce l’azzurro del cielo,è calata la sera.
Nel giorno colmo di sole,di vento a folate,di voci agitate,le mucche pazienti,al giogo appaiate,a turno guidate dai contadini,di caldo e fatica inebriati,hanno ridotto in frantumi i covoni di grano,dividendo dai chicchi di grano la paglia dorata.Già di primo mattino,quando il canto del gallo e l’abbaiare dei cani si muovono insieme alla tremula luce del sole appena affacciato dalle brumose colline,la “ rua “,lo spiazzo attorno alla casa,bianco di terra battuta,spazzato con mazzi di origano in fiore,si è popolata di gente.Don Carmelo,i crespi e fitti capelli che non consentono l’uso di pettini e spazzole,gli occhi,fessure brillanti,segreti e sapienti,con la pipa in bocca,guarda l’orizzonte e commenta il giorno come sarà.
Gnà Vennera,sua moglie,donna o megera,bella o mostruosa,saggia o invasata,lo segue,brontolando parole indistinte,simili a tuoni cupi e lontani.
Giovanna,la loro figliuola ,nervosa,vivissima e magra,lancia alti richiami : “ mpari Catinu…. mmari Maria…..mpari Catinuuu…….”.La voce spezza il sottile spessore dell’aria,lieve velo d’oro e di azzurro,di odori selvaggi,di umida terra e chiuso di stalle.Vibra modulazioni allargate.Si frange contro il costone di pietre scure nell’ombra e ritorna all’indietro.
Dalle colline all’intorno,altre voci rispondono in coro: “ Stamu arrivannu…ora bonu….stamu arrivvannuuu….”
In cima al pagliaio,un uomo prende i mazzi (covoni ) di grano e li poggia in testa alle donne che hanno le braccia levate come manici di anfore larghe.Senza fretta e senza cura si gettano i covoni nell’aia;la liana che tiene ammassate le spighe si spezza d’un colpo;il forcone,piantato nel mucchio allentato, li divide e sparpaglia all’intorno i fili secchi e ingialliti.
Più tardi,le mucche pazienti girano in circolo,trascinando un pesante macigno.La gialla massa delle spighe,stupita di sole,inerme e divisa,scricchiola e resiste per poco.Si affloscia e si spezza.Si rialza pungente al passare dei buoi,rigando di rosso i piedi nudi e le gambe scoperte dei giovani scarmigliati e sudati che guidano la pariglia aggiogata,lanciando grida furenti alle bestie sfiancate.Poi,nel pieno meriggio,quando il sole al centro del cielo ha acceso una fiammella abbagliante tra le foglie del gelso,i contadini attendono il vento,chiamandolo a gran voce.Ad un tratto,quasi avesse ascoltato,il vento comincia a sperare:prima lieve e incerto,poi sempre più teso e veloce.” Forza,carusi,c’è u ventu.Muvemuni,spicciamuni.Forza,bastardu,chi ffai?.....nnai forza o non nnai?.....Moviti,spicciati,,,,,”
In un ritmo sempre più irrequieto e impetuoso,i contadini,dandosi il cambio,con pale e badili,sollevano in alto i frammenti dei covoni prima distrutti.Via,via la paglia si divide dal grano.I chicchi rosati si poggiano insieme formando cumuli sempre più alti. All’indietro la paglia si dispone leggera e invadente.Tutt’intorno si solleva una nebbia leggera di minutissime pellicine riarse: è “ u piddu “ che si ferma nei capelli,acceca gli occhi,si allunga per la scarpata,appanna il verde dei prati e si sperde nel cielo.
Il sole tramonta,il vento si acquieta.Si ritorna alla casa.Nella rua si mangia tutti insieme.La fatica allenta la resistenza dei corpi.Sugli scanni e sui ceppi,i contadini assomigliano ad antichissimi dei,quieti e appagati.Lo sguardo che fissa il tramonto crea una pace (infinita ),che è solo di ognuno di loro.La notte scende sull’arsura del giorno,stendendo una coltre fredda e incolore che via via si abbruna di ombre vaganti.Ho ottenuto il permesso di dormire nell’aia con i contadini.Avvolti in coperte che attutiscono appena la durezza del suolo,si cerca il sonno,inventando lazzi e battute,tentando un accenno di canto.I cani sussultano in sogno.Le voci,le grida ed i rumori si fanno sempre più rari e più lievi.Ad un tratto aleggiano solo i respiri.Lunghi e tramanti sembrano raggiungere il cielo,tetto azzurro cavato e profondo,di stelle infinito.Nei miei occhi sgranati,la notte si svolge tra immagini note. Gli esercizi al pianoforte ed il maestro che si complimenta con me.L’adornarsi davanti allo specchio che rinvia il mio viso aggraziato.Il bacio della mamma alla sera.Quel pomeriggio di luglio dell’anno passato,con l’orizzonte deciso a segnare il rosso del cielo e l’ambra del mare,nella dolcezza del sole che si abbassa,ammorbidendo i suoi raggi e lo sguardo che s’incanta nella luminosa (scintillante ) figura di un ragazzo forte e leggero,che,uscito dal mare,si avvia,stillante di acqua,verso la spiaggia.
Ineffabile istante,l’incontro commosso di due persone che si riconoscono insieme da sempre,nella estrema freschezza dei giovani anni,nell’armonia di un giorno che muore,lievitato dall’aria tiepida e lieve in un pulviscolo rutilante di azzurro che scolora nel rosa delle onde fluide e lievi che muovono il mare,delle nuvole gonfie che sospingono il cielo.Poi,come in un sogno,le poche parole dette tra noi,sostanza concreta e sonora del riconoscimento avvenuto e il susseguirsi dei giorni lunghi e solari di un’estate felice.
COSCIENZA ALLARMATA
Bevanda che scivola in bocca
e si diffonde calda nel corpo
Libri che parlano
Suoni che lusingano
il chiaro respiro del giorno
Fiori leggeri e desiosi annegano
i petali nello sguardo affettuoso
I miei sentimenti.Tanti Silenziosi
si espandono in spirali stringenti
Entità importanti e sensibili
richiamano care voci passate
Soffio azzurro e fresco di mare
Invito al giorno d’estate
Caleidoscopio mutevole di onde
stellanti di sole che abbaglia
Follia di occhi e di risa
il buio si accende di guizzanti faville
Acuto il profumo di gelsomini nascosti
Tutto si agita inquieto nella notte
che trasporta silenzi profondi
violati d’un tratto dai latrati dei cani
Il rumore dei pesanti automezzi
scuote le mura della stanza che dorme
E’balenio atterrito nell’attesa
dell’alba nella speranza di vita
Riluce di nuovo,inesorabile e duro
nell’aula scura del tribunale
Privata di mete che hanno valore
percorro strade segnate da altri
Al di là della siepe
i volti senza occhi degli amici perduti
i sogni svaniti nel tempo che corre
Una lacrima lenta per la mano
levata in generoso segno d’amore
Tanti rifiuti come anelli di ferro
intorno ai teneri corpi.Vacillanti
preghiere di voli di uccelli indifesi
germogli sbocciati su rami di pietra
I miei condannati Schiere di gente
che viene dal sud Frasi dette
in dialetto e arroganza di modi
Menzogne e menzogne All’assalto
del bene che sfugge sempre di mano
La droga lo ferma La fatica lo annienta
Anni e anni di reclusione in istituti
brutali Rozza sequela di inumane pretese
Muraglia continua impenetrabile come
notizia taciuta,si svolge compatta
da Torino a Milano da Lecce a Palermo
“a cor gentile ripara sempre amore”
Nel buio composto della sala in ascolto
le limpide note di un mondo di grazia
A sedici anni la scuola mi apriva
orizzonti chiari di seducenti parole
Ossequio a chi può e a chi sa
I vincitori hanno ragione Fanno la storia
I vinti hanno un nome che li trafigge
Ora sono spoglia Ai vincitori non credo
hanno il piede grande e pesante
il passo non vede il terreno battuto
Dei vinti non mi posso occupare
Le suadenti parole e le note preziose
sono veli di colpa per la coscienza allarmata
Confusa e smarrita percorro la strada
tracciata da altri Trascinata in avanti
da gente in colonna Senza la forza e
il coraggio di spezzare la fila
saltare la siepe e gridare rivolta.